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Kritik der Urteilskraft). Opera di Kant,
pubblicata nel 1790. Avendo analizzato le tre facoltà dell'animo,
conoscenza, volontà e sentimento, Kant ritenne di poter formulare anche
per la terza facoltà, come per le prime due, principi a priori. L'opera
si articola in due parti: la prima concernente il sentimento del bello, la
seconda riguardante la concezione finalistica della natura, entrambe basate su
un giudizio soggettivo che è però indipendente dalla situazione
contingente del soggetto. Il giudizio è la capacità di pensare il
particolare all'interno dell'universale: quando l'universale è dato, il
giudizio è
determinante (come nelle scienze, in cui la legge a
priori determina il singolo caso che le è sottoposto); quando, invece,
l'universale non è dato oggettivamente ma è solo pensato dalla
nostra ragione, allora il giudizio è
riflettente (come nel
giudizio estetico e teleologico, in quanto la mente riflette su un particolare
per collegarlo all'idea universale che non è data oggettivamente ma
esiste nella sfera del sentimento). Il bello non è una proprietà
delle cose, ma consiste nel rapporto fra l'immagine delle cose e il nostro
sentimento di essa. Il giudizio di tale sentimento è il giudizio
estetico. Il bello si può definire per quattro caratteri: è
piacere disinteressato, in quanto non è legato all'esistenza reale
dell'oggetto ma frutto della sua immagine in quanto tale; è piacere
universale, perché non sussiste interesse individuale, ma non
concettuale, perché è percezione soggettiva senza interesse ad una
conoscenza concettuale; è "finalità senza fine", in quanto tra le
sue parti vi è l'ordine e l'armonia della finalità senza che
peraltro esista uno scopo rappresentato; è piacere necessario. Mentre il
sentimento del bello esprime accordo fra immaginazione e intelletto, il
sentimento del sublime è dato da un oggetto che superi la nostra persona
in modo tale da provocare in principio una sensazione di nullità ma, in
un secondo tempo, risvegliare la coscienza della nostra superiorità sulla
natura, rispetto alla quale possiamo appunto esercitare il giudizio, che ci
eleva su ogni oggetto di questa. Perciò, il giudizio che concerne il
sublime si basa sulla nostra natura morale e non ha bisogno di altra
giustificazione. Il giudizio teleologico è riferimento dell'oggetto al
sentimento soggettivo di finalità, mosso in noi dal principio secondo cui
"nulla esiste invano". La finalità, infatti, non può essere
oggetto della ragion pura, della conoscenza fenomenica o scientifica,
perché questa agisce per sintesi progressiva e dunque l'idea universale
non può precedere e determinare l'idea delle parti. La finalità
è invece oggetto della ragion pratica, della volontà, in quanto
essa agisce per libera causalità per la quale l'idea del fine determina
la realizzazione dell'atto. Tuttavia noi percepiamo nella natura qualcosa di
analogo all'azione della nostra volontà (infatti abbiamo coscienza che il
coordinamento delle parti degli organismi viventi presuppone il tutto che, a sua
volta, eccede la pura somma delle sue parti), da cui ricaviamo il sentimento di
finalità, anche se, non essendo noi autori della natura, non possiamo
definire oggettivamente tale fine. L'idea di fine, tuttavia, non è da
considerarsi necessaria all'esistenza degli oggetti, ma solo al nostro giudizio
su di essi. L'originalità della
C. è data dalla netta
distinzione che essa compie fra la sfera di attività del sentimento e
quella logica e pratica, grazie alla quale Kant inaugurò l'estetica
moderna.